Nel quartiere Tuscolano, in via Selinunte 59, il complesso residenziale per circa 1000 abitanti progettato da Adalberto Libera fa parte del più ampio progetto Ina-Casa (il più grande a Roma) realizzato in tre fasi successive, dal 1950 al 1960, note come Tuscolano I, II e III, in prossimità del Parco dell’ Appia Antica.
L’obiettivo era di costruire un quartiere modello e la reinvenzione di un linguaggio costruttivo e figurativo a metà strada tra conservazione della tradizione e innovazione tecnologica.
Libera sposta da subito l’accento sul concetto di “Unità d’abitazione” intendendo con ciò l’aggregazione di più elementi: dalle abitazioni ai servizi per un “moderno vivere civile” tale da tenere insieme la scala della città e quella più aderente al locale, proprio di una relazione stretta, da costruire, tra il luogo e i suoi abitanti.
L’articolazione di costruito e spazi all’aperto pubblici (caratterizzati da una forte connotazione sociale oggi andata perduta per effetto di chiusure e privatizzazioni) le continue variazioni di scala, i disallineamenti e gli scarti delle facciate, i disassamenti e le interruzioni planimetriche compongono un tessuto urbano fortemente complesso.
Un episodio centrale nella storia della ricostruzione a Roma nel secondo dopoguerra, capace di svolgersi dalla scala urbana al più piccolo dettaglio architettonico, un architettura di qualità.
La seconda e la terza fase sono maggiormente legate tra loro rispetto all’articolazione del disegno della città: l’edificio in linea di Mario De Renzi e Saverio Muratori, in muratura a faccia vista e cemento armato che fa da quinta su largo Spartaco, introduce, attraverso il portale posto sul disallineamento della facciata, ad una sequenza architettonica ottenuta per variazioni di scala e di tipologie edilizie (in linea e a torre fino alle case basse di Libera) e spazi all’aperto che trovano conclusione nell’esperimento di un labirinto interrotto del Tuscolano III o Unità di Abitazione Orizzontale. Realizzato sul bordo del Tuscolano II e in prossimità dell’area archeologica (l’attuale Parco degli Acquedotti che ha per sfondo l’acquedotto Claudio) si definisce (nell’interpretazione dell’architetto, successiva alla visita, nel 1951, delle antiche città del Marocco) nel tessuto denso e concluso, tale da non ammettere incrementi e modificazioni, protetto da un recinto in muratura di tufo.
Una finta volta sottile, sollevata, per effetto della lama d’aria tra gli appoggi puntuali sulla linea di imposta, e in asse al portale dell’edificio di largo Spartaco, introduce, interrompendo la stecca dei negozi e servizi e dando origine a una sorta di vestibolo, su cui affacciano in origine un caffè e un centro sociale, allo spazio aperto comune, interrotto, nella sua geometria, dalla rotazione dell’edificio a ballatoio di tre piani, con 32 alloggi minimi, che immette un elemento di dissonanza nel dispiegamento planimetrico, organizzato e misurato per rettangoli aurei, degli alloggi a patio.
Cinque sono quindi (insieme alla scelta dei colori, dall’azzurro all’ocra e dei materiali) gli elementi “esatti” che compongono l’Unità di Abitazione: la breve galleria media il passaggio dallo spazio esterno all’interno, ovvero alla “stanza” all’aperto comune definita da alti pini marittimi visibili in lontananza e rispetto alla quale si distribuiscono le case a patio ad un piano, l’edificio a ballatoio e la stecca dei negozi e servizi, parte permeabile del recinto oltre ad alcuni varchi segnalati da forme varie delle pensiline.
Il patio ovvero la stanza all’aperto, declinata nella sua funzione privata (rispetto all’alloggio) e collettiva (lo spazio verde comune) è per Libera la “prima stanza della casa”. Quattro alloggi a forma di “L” di ampiezza diversa (da 2 a 4 stanze) più un ambiente di soggiorno posto all’incrocio dei bracci della “L” che conserva sempre le stesse dimensioni e le apparecchiature da cucina in nicchia, compongono il modulo che tuttavia non si risolve rispetto a quattro patii accorpati al centro ma scarta di uno, posto all’esterno. Infatti uno degli alloggi è rovesciato rispetto agli altri per ottenere la stessa esposizione al soleggiamento. Le stanze affacciano sul patio, i servizi sui percorsi interni arredati (larghi mt. 2,70) dell’Unità di Abitazione. La copertura degli alloggi è leggermente inclinata con la pendenza rivolta verso il patio.
L’attenzione al disegno della struttura dell’edificio è un tema ricorrente nei progetti di Libera e in questo caso il confronto con le case a patio (pannelli in conglomerato cementizio e fodera in laterizi intonacati) mette ancor più in evidenza il valore espressivo dell’intelaiatura strutturale lasciata a faccia vista dell’edificio che, se nei prospetti laterali e quello posteriore si manifesta nella sua bidimensionalità prodotta dalla bicromia di struttura, fasce di coronamento e tamponatura, nel prospetto rivolto verso la galleria voltata, all’opposto, si rivela nel ritmo dei portali a sbalzo che configurano il telaio strutturale. Il corpo scala, indipendente dalla struttura portante dell’edificio, divide in modo asimmetrico l’edificio in facciata e dà accesso ai ballatoi posti a un livello più basso rispetto all’ingresso agli alloggi (due gradini sopra il ballatoio raccordati da una seduta in graniglia di cemento), accorpati per i servizi a due a due e ognuno di circa 45 mq. Una loggia (oggi tamponata) rompe diversamente la simmetria sul retroprospetto. La copertura è costituita da una doppia inclinazione delle falde a sbalzo.
Allo stato attuale tutto il complesso di Libera risulta degradato e manomesso da interventi di manutenzione straordinaria che hanno modificato l’esattezza degli edifici attraverso chiusure degli spazi aperti comuni, sostituzione delle pavimentazioni originarie e delle aiuole; accorpamenti di alloggi, variazioni distributive, modificazione delle aperture e degli infissi, trasformazione dei manti di copertura; allestimenti diversificati e incongrui della stecca dei negozi e servizi.
Cfr . Archidiap, https://archidiap.com/opera/unita-di-abitazione-orizzontale/